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Categoria: GRILLO ANTONIO ANNO SOCIALE 2010-2011
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LIONS CLUB LICATA

ANNO SOCIALE 2010- 2011
Presidente Dr. Antonio Massimo Grillo

GITA SOCIALE MINIERA TRABIA-TALLARITA

In data 21/11/2010 i soci del Lions Club Licata hanno effettuato una gita culturale nel territorio di Sommatino per documentarsi sull'attività estrattiva del zolfo nella miniera Trabia-Tallarita, vivendo questa attività come riscoperta della storia della nostre tradizioni.
La gita sociale è cominciata con la visita del museo etnogeologico di Sommatino dove grazie ad una guida ben preparata è stata riproposta la storia geologica della Sicilia con la mostra di reperti di rocce. provenienti dalle zone viciniori; alcune di queste rocce provenienti dalla miniera di Trabia-Tallarita presentavano percentuali varianti di zolfo all'interno delle rocce; un modellino in scala 1/20 della miniera ha permesso di comprendere il meccanismo di discesa e risalita dei lavoratori e delle rocce estratte contenenti zolfo, con le varie fasi di accumulo, riscaldamento e prelevamento dello zolfo fuso.
La visita alla miniera è stata l'occasione di potersi rendere conto dei luoghi di lavoro, della dura vita dei minatori, delle attrezzature utilizzate e di una vasta iconografia dell'estrazione dello zolfo e dei solfatari (vedi relazione Miniera Trabia-Tallarita) 
La degustazione di ottimi piatti in un locale denominato 
"La Pirrera" che significa miniera ha concluso la gita sociale del club.

LA MINIERA SOLFIFERA TRABIA-TALLARITA 
DI SOMMATINO-RIESI

La miniera Travia-Tallarita è situata nel territorio di Sommatino e in quello di Riesi; essa fu una delle più antiche solfare della Sicilia, risalendo il suo uso fin dal 1600. Il primo proprietario della miniera fu il principe di Trabia e di Butera, che affidava la sorveglianza della "Solfara Grande" a persone di sua fiducia. Ma l'incendio divampato all'interno di essa il 27 febbraio del 1883, causò la morte di decine di operai e la conseguente chiusura. Venne riaperta nel 1898 sotto vari proprietari ed è stata funzionante fino agli anni 1963 quando la proprietà è passata alla Regione Siciliana, prima con la denominazione di Ente Minerario Siciliano, poi SO.CHI.MI.Sl. 
"La miniera si trova sulla sponda destra del fiume Salso o Imera meridionale e comprende tre zone di lavoro: Solfara Perrerella (Solfarella); Solfara Galleria Ercole; Solfara Grande. Tutte e tre formavano la più grande ed importante miniera della Sicilia, considerando il fatto che lavoravano in questa miniera circa 1000 operai. La formazione solfifera di questo importante bacino era rappresentato dal Tripoll (roccia silicea friabile di colore biancastro che trae origine dall'accumulo dei gusci di microrganismi marini), dal calcare siliceo; dal minerale solfifero che direttamente poggia su di esso; dal gesso e dal calcare marnoso detto "trubo" soprastante e dall'argilla. Una maggiore quantità di gesso era presente laddove lo zolfo era più abbondante, mentre scarseggiava quando compariva l'arenaria, chiamata dagli zolfatari "Arenazzulu". ll giacimento solfifero si presentava con un bellissimo affioramento che seguiva la cresta della montagna; il minerale discendeva incassato nelle suddette rocce in senso quasi verticale. i primi lavori furono eseguiti partendo dagli affioramenti poi a poco a poco si cominciò a scendere (in profondità), fino ad arrivare sotto la quota del fiume, con i problemi di infiltrazione e d'umidità. Era appunto in uno di questi affioramenti, quello della "Solfara Grande che si sviluppò un enorme incendio che trasformò tutto il sottosuolo in un enorme "calcarone": si ottenne così un'illimitata colata di zolfo fuso che per molti decenni permise l'estrazione di questo minerale allo stato puro. L'estrazione in questa miniera era molto intensa, vi lavoravano circa 160 picconieri divisi i due turni; calcolando che per un picconiere occorrevano in media tre trasportatori vi lavoravano da 650 a 700 persone. Il lavoro doveva essere svolto con il solo uso del piccone, mentre era vietato l'utilizzo delle mine, che avrebbero potuto provocare eventuali crolli, tuttavia dove la roccia era più dura non si esitava ad usare cariche esplosive. Il lavoro dei "picconieri" era accompagnato dalle squadre di sgombramento costituite dai "carusi", che avevano il compito di trasportare lo zolfo all'esterno della miniera. 
Quando si estraeva, lo zolfo non era puro, ma era attaccato a molti altri minerali quali gesso, terra, ecc., quindi per poter scindere lo zolfo dal resto del materiale, il tutto veniva fuso, in "calcarelle" prima, in "calcaroni" poi ed infine, nei forni Gill. Lo zolfo doveva essere separato dalle altri componenti: la cottura ad una determinata temperatura faceva sì che esso si liquefacesse e si separasse dal resto del materiale; nacquero così i primi forni, chiamati "calcarelle". Il primo metodo delle "calcarelle" consisteva nel preparare, nel terreno esterno alla miniera, una specie di fornace circolare del diametro di 1-2 m; essa veniva riempita di zolfo impuro, trasportato dai "carusi", mediante appositi contenitori chiamati "stirratura". Compiuta la carica, la "calcarella" veniva accesa e all'imbrunire veniva abbandonata a se stessa fino al mattino, ora in cui cominciava a colare lo zolfo liquido dal foro che veniva chiamato "punto di morte"; Dello zolfo contenuto nella "calcarella", quasi 2/3 veniva bruciato perdendosi nell'aria e producendo così, una grande quantità di fumo (anidride solforosa); la rimanente parte di zolfo usciva dal foro e veniva a depositarsi in appositi contenitori di legno chiamati "gavite". Dai "calcaroni" si ottenevano 7000-8000 pezzi di zolfo al giorno. Per ottenere un maggiore quantità si pensò di costruire delle "calcarelle" di dimensioni maggiori, che andavano da 5 a 30 metri di diametro, chiamate per le loro dimensioni "calcaroni". Robert Gill nel 1880 brevettò un impianto destinato ad avere parecchia fortuna. Dai forni o dai "calcaroni" veniva raccolta la cosiddetta "basula", che si depositava dentro i vagoni, i quali arrivavano dalla funicolare che collegava la miniera Trabia alla stazione ferroviaria di Ravanusa (Ag), da dove venivano inviate sempre con il treno a Licata e dal porto di Licata tramite piroscafi e navi cisterne veniva esportato in tutto ilo mondo. Ancora oggi, visitando esternamente la miniera Trabia, è possibile vedere ciò che rimane di tutto l'impianto estrattivo: un tratto di funicolare, qualche castelletto, i "calcaroni"... . Poca cosa, se si considera l'intensa attività estrattiva che per ben quattro secoli ha caratterizzato non solo l'economia, ma anche la vita, la cultura, i costumi, le tradizioni della gente del luogo che non vuole rinunciare alle proprie origini di "surfarari". 
Durissima la vita dei lavoratori delle miniere di zolfo, che una volta scesi nel sottosuolo a volte restavano anche due o tre settimane nelle viscere della terra mangiando, dormendo e lavorando senza emergere fuori. Per il caldo esistente dentro le miniere, circa 40 gradi, i solfatari lavoravano nudi per poter avere un po' di refrigerio. Pesantissima la vita dei "carusi" ragazzi dai sette ai 15 anni che trasportavano le pietre con lo zolfo all'esterno della miniera. Spesso vi erano infortuni anche mortali per la poca sicurezza sul lavoro e per i gas sprigionati, anidride solforosa e grisou, costituito da miscela di metano, molto infiammabile e causa di tante tragedie.